////////////////////////////////////\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\ 2016-02-04 \\\\ /// \\\ // Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. \\ / Nescio, sed fieri sentio et excrucior. \ \ / \\ Catullo - Liber, Carme 85 // \\\ /// \\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\//////////////////////////////////// Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai. Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento. In prima e seconda liceo, il latino mi piaceva. Non era certamente la mia materia preferita, ma mi piaceva. Tradurre una versione di latino, era, in un certo senso, appagante: leggevi il testo, cercavi i termini sul dizionario, ripetevi un po' di declinazioni, e aggiustavi il periodo, la frase, e poi ti dedicavi al "labor lime" per raffinare la traduzione delle singole parole e rendere il tutto molto armonico. In un certo senso era anche "facile", perché bastava applicare qualche regola fissa, sistemare qualche eccezione, e il gioco era fatto. In terza il programma cambiò radicalmente: niente più traduzione, ma letteratura latina. Ogni autore aveva la sua storia — che non mi interessava minimamente — le sue eccezioni alle regole e il suo stile. Tradurre le versioni di letteratura non era più operazione meccanica o ragionamento logico, ma esercizio di improvvisazione su quello che si sapeva — o, più spesso, che si supponeva di sapere — sull'autore del testo, sulla sua vita, sul contesto storico. Detto questo, un ruolo fondamentale nello studio della materia viene giocato anche dall'insegnante, e non si può dire che dalla terza abbia avuto un insegnante particolarmente stimolante. Sarà stato il suo attaccamento alla cultura classica, saranno stati i metodi di insegnamento arcaici, sarà stata la sua formazione umanistica autoreferenziale, saranno stati i continui riferimenti a Dante o al suo odio personale per la matematica... sarà stato quel che sarà stato, ma, ad un liceo scientifico, nella mia classe, tutto ciò era molto controproducente. Anzi, la mia combriccola di piccoli scienziati pazzi dedicava le ore di interrogazione di letteratura allo studio delle dimostrazioni di qualche semplice teorema di crittografia, a ingannare la precisione macchina delle nostre calcolatrici scientifiche, o alla preparazione per le olimpiadi di fisica e di matematica. Ma sto divagando. Dalla terza, smisi di tradurre versioni di latino. O almeno, di tradurre nel senso vero della parola: tutta quella retorica e tutte quelle particolarità erano cosa aliena per la mia necessità di organizzare tutto in uno schema logico e senza ambiguità. Iniziammo a studiare i grandi autori classici, e le pagine, i capitoli interi dedicati alla vita di questi erano qualcosa di vomitevole. Veniva fornita una enorme quantità di informazioni incerte e pertanto inutili, inventate, frutto di leggende metropolitane e aneddoti di un paio di millenni fa, esplicitamente dichiarati come tali. Non potevo far altro che domandarmi: ma gli autori del libro, non facevano più bella figura a dire "non sappiamo niente"? Efficace e conciso. Forse no. Dovevano pur giustificare il fatto di aver perso anni della propria vita dietro a ricerche che non potevano che portare a tali osceni risultati. O forse dovevano semplicemente giustificarsi con qualche finanziatore. Tracciate un grafico, e vedrete come la mia passione per il latino, inizialmente oscillante in un intervallo di decenza, scenda asintoticamente a meno infinito mano a mano che ci si avvicina alla data dell'esame di maturità. ________________________________________________________________________ Un grafico molto simile può essere fatto per la mia passione per la filosofia o, per meglio dire, per storia della filosofia, visto che tutto ciò che dovevamo fare per superare l'esame era studiare il pensiero di Marx, Hegel, Schopenhauer, Comte, Platone e i suoi amici, cancellare ogni nostro dubbio, e ripetere. La mia visione — forse riduttiva — o forse non ho capito niente in tre anni di filosofia — il che è probabile — del mondo della filosofia scolastica, è un'accozzaglia di pensatori che hanno idee diverse, si scannano tra loro per questo — a parte qualche illuminista illuminato a 230 Voltaire — e cercano di distruggere l'uno le idee dell'altro facendo ragionamenti logici, ma partendo da presupposti totalmente diversi. Vorrei poter dire loro: è inutile che ti arrabbi col la filosofia del tuo amico: semplicemente, tu hai creato un'altra corrente di pensiero. E chi ha ragione? Tutti e nessuno contemporaneamente, nel nome del sano principio di indeterminazione. - - - La filosofia è importante, ma è il modo in cui la si insegna nelle scuole, nei licei, che mi lascia enormemente perplesso. Sapete chi, a mio parere, dovrebbe entrare nei libri di filosofia? Richard Matthew Stallmann, sicuramente uno dei più grandi filosofi dello scorso secolo — e anche di questo, per ora. ________________________________________________________________________ Li ho venduti tutti. I libri di latino e di filosofia li ho venduti tutti. Il primo che sono riuscito a vendere è stato il libro di filosofia di terza. Ero cosciente che avrei potuto venderlo davvero, ma speravo vivamente di non riuscirci (come mi è capitato con numerosi altri libri) o di venderlo per ultimo, e invece mi è toccato darlo via subito, e mi è dispiaciuto, un po' per il suo contenuto, ancora piacevole, ma soprattutto per la dedica che una mia compagna di classe aveva lasciato sulla seconda di copertina. Quasi quasi ci avrei ripensato, se l'azione non si fosse consumata così velocemente, in qualche manciata di secondi e nello scambio di una vile banconota celeste. La dedica consiste in una piccola poesia, nemmeno originale, che fa sorridere un po' il lettore che si trova, impreparato, a seguire le sue istruzioni e a scartabellare il libro avanti e indietro per giungere alla conclusione dell'indovinello. Niente di eccezionale, ovvio, ma era ciò che rendeva unico il mio libro di filosofia di terza, insieme a quella ragazza castana. Ho venduto tutti i libri di filosofia e di latino. Me ne pento? Non lo so. È raro che mi disfi di qualcosa che mi ha accompagnato per lungo tempo, specialmente se quella cosa ha qualcosa di mio: il mio nome scritto sopra, gli appunti presi a margine, qualche sottolineatura, o, semplicemente, un fregaccio a lapis. Chissà dov'è ora il mio Abbagnano/Fornero, con la sua gialla copertina sognante di infinito; chissà dove sono, adesso, ammesso che siano ancora qualcosa di diverso dalla carta da macero. ________________________________________________________________________ Di buona parte di quella filosofia, e soprattutto di quel latino, non mi ricordo niente, ma mi manca. È strano, perché non ricordo niente, quindi non so cosa o chi mi manca, ma so che mi manca ugualmente. --- EOF ---